Sud, Svimez: 500mila potenziali nuovi poveri per caro energia. Negli ultimi 20 anni 1,2 milioni di giovani ha lasciato il Mezzogiorno

29 Novembre 2022
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Covid, Ucraina, crisi energetica e inflazione impattano su famiglie e imprese e riaprono la forbice con il Nord


Oltre 760.000 potenziali nuovi poveri per lo shock energetico, di cui mezzo milione al Sud. È lo scenario delineato nel Rapporto Svimez 2022, giunto alla sua 49esima edizione, presentato oggi, lunedì 28 novembre, alla Camera.

Uno scenario che delinea una recessione nel 2023, ma solo per il Sud d’Italia. Addio dunque a un processo di ripresa economica che abbracci tutto il territorio nazionale. Il prossimo anno il Pil meridionale si contrarrebbe fino a -0,4%, mentre quello del Centro-Nord, pur rimanendo positivo a +0,8%, segnerebbe un forte rallentamento rispetto al 2022. Il dato medio italiano dovrebbe attestarsi invece intorno al +0,5%.

 Il «rimbalzo» del 2021 (trainato dal binomio investimenti in costruzioni e export), ha interessato tutte le aree del Paese ma è stato più rapido nel Nord, rispetto a Centro e Sud. A differenza delle passate crisi, il Mezzogiorno ha partecipato alla ripartenza con il contributo delle misure di sostegno ai redditi delle famiglie, che hanno favorito la ripresa dei consumi, e dell’intonazione espansiva della politica di bilancio.

Nel complesso, lo scenario è quello di un Paese, l’Italia, in stagnazione.Occorre rimettere in gioco il Mezzogiorno, è il messaggio lanciato dall’indagine, ricomporre la (non nuova) frattura tra Nord e Sud del Paese così da esprimere il potenziale dell’Italia in Europa. E il Pnrr potrebbe essere “l’ultimo treno”.

Il 2024 dovrebbe essere un anno di ripresa sulla scia del generale miglioramento della congiuntura internazionale, unitamente alla continuazione del rientro dall’inflazione che scende al +2,5% e +3,2% nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno nell’anno. Si stima che il Pil aumenti nel 2024 dell’1,5% a livello nazionale, per effetto del +1,7% nel Centro-Nord e dello +0,9% al Sud.

La desertificazione universitaria. Un altro elemento che emerge dall’indagine riguarda l’ambito della formazione, e in particolare l’università. Secondo Svimez, infatti, nel 2041 il Mezzogiorno perderà il 27% degli iscritti, il Centro Nord circa il 20%. È dunque in atto la desertificazione universitaria del Sud, specialmente nelle sedi più piccole e periferiche. Negli ultimi vent’anni circa 1,2 milioni di giovani ha lasciato il Mezzogiorno. Uno su 4 è laureato. Nel solo 2020 sono 67mila giovani che sono andati via e la quota di laureati è salita al 40%.Nel periodo 2002-2020, la perdita netta di giovani è stata di 770mila unità, quella di laureati di circa 250 mila unità. Per il solo 2020, il saldo netto complessivo è di circa 45 mila ragazzi. Di cui 20mila laureati. 

Industria del Sud più esposta alla corsa dei prezzi di elettricità e gas. L’aumento dei prezzi di energia elettrica e gas si tradurrebbe, per le imprese industriali, in un aumento in bolletta annuale di 42,9 miliardi di euro. Di questi, il 20 % circa (8,2 miliardi) grava sul Mezzogiorno, il cui contributo al valore aggiunto dell’industria nazionale è inferiore al 10%. L’impennata inflazionistica implica un’erosione dei margini di redditività particolarmente allarmante e rischi operativi più concreti per le imprese del Sud.

Gli interventi nel pieno della pandemia Covid hanno tamponato emergenza. Secondo la fotografia scattata da Svimez, gli interventi di salvaguardia varati nel pieno della pandemia, dal blocco dei licenziamenti, agli ammortizzatori sociali in deroga fino al Rem che si è andato ad aggiungere al Reddito di cittadinanza, hanno tamponato emergenze sociali e occupazionali che altrimenti avrebbero assunto proporzioni drammatiche. Al netto del peggioramento delle condizioni rilevate nel corso del 2020 – rileva ancora Svimez -, l’insieme di queste misure ha avuto effetti significativi nel contrastare la povertà. Nel 2020, dunque, i «corposi trasferimenti governativi» hanno preservato le condizioni economiche delle famiglie, limitando fortemente la contrazione dei redditi. Senza questi interventi le famiglie povere sarebbero state quasi 2,5 milioni, quasi 450 mila in più rispetto al valore registrato nel 2020 (poco più di 2 milioni), cui corrispondono oltre un milione di persone in meno in condizione di povertà assoluta (-750 mila al Sud e -260 mila al Centro-Nord). Senza le erogazioni le famiglie in povertà assoluta sarebbero state il 9,4% anziché il 7,7%, l’incidenza per le persone sarebbe aumentata all’11,1% anziché fermarsi al 9,4%. In particolare, nelle regioni meridionali, senza sussidi l’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie avrebbe raggiunto un picco drammatico di circa 13 famiglie ogni 100 (13,2% al Sud e 12,9% nelle Isole), che grazie agli interventi cala di 3,4 punti al Sud e 4,5 punti nelle Isole.

L’inflazione colpisce le famiglie meno abbienti, concentrate nel Meridione. Svimez pone l’accento sul fatto che la crisi inflazionistica presenta rischi concreti per la sostenibilità dei bilanci di famiglie e imprese, con effetti più allarmanti nel Mezzogiorno. Con riferimento alle famiglie, a subire maggiormente le conseguenze dei rincari della bolletta energetica e dei beni di prima necessità sono i nuclei a reddito più basso, per i quali l’incidenza dei costi “incomprimibili” arriva a coprire circa il 70% dei consumi totali. Queste famiglie sono maggiormente concentrate nel Sud Italia. In base ai dati Istat 2021, infatti, una famiglia su tre residente nel Mezzogiorno si colloca nel primo quintile di spesa equivalente (presenta una spesa media mensile minore o uguale alla spesa media del 20% più povero di tutte le famiglie italiane). Nelle altre aree del Paese, la percentuale è nettamente inferiore: le famiglie collocate nel primo quintile di spesa sono circa il 13% nel Nord e poco più del 14% nel Centro. Considerando l’inflazione acquisita per l’anno in scorso dell’8% per tutte le voci di spesa (dato previsionale Istat riferito a ottobre 2022), si osserva un incremento dell’8,9% per i beni alimentari e del 34,9% per la voce “abitazione, acqua, elettricità e spesa per combustibili”.

La questione femminile. Il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno è molto lontano dalla media europea. In Italia il gap con l’Europa, di circa 10 punti all’inizio del secolo, è ulteriormente aumentato, avvicinandosi ai 15 punti nel 2022. Non solo, il ritardo dell’Italia, che nei primi anni Duemila era essenzialmente ascrivibile alle regioni meridionali, si è esteso alle regioni del Centro-Nord. Portando il confronto all’interno del Paese, è netto il divario tra i tassi d’occupazione femminile del Mezzogiorno e del Centro-Nord, che in termini di numero di occupati si quantifica in 1,6 milioni (nel senso che se il tasso di occupazione femminile fosse uguale a quello del Centro-Nord, nel Mezzogiorno l’occupazione femminile aumenterebbe di 1,6 milioni).In Italia sono circa 4 milioni, di cui circa 1,8 milioni nel Mezzogiorno, le donne più o meno vicine al mercato del lavoro ma che non vengono impiegate.

La necessità di un coordinamento delle politiche di sviluppo. Svimez pone l’accento sul fatto che con un’offerta ampia e diversificata di risorse per le politiche di sviluppo dei prossimi anni − comprendente quelle della coesione 2014-2020, incluso il React-Eu, le risorse del ciclo 2021-2027, le dotazioni Pnrr e, non ultime, quelle della coesione nazionale (PSC) − serve un coordinamento tra la politica di coesione, comunitaria e nazionale, e il Piano nazionale di ripresa e resilienza e la necessità che siano messe a sistema in una visione organica e unitaria le reciproche azioni. Gli stanziamenti di risorse, ingenti, e le riserve di spesa sono solo una condizione necessaria, non sufficiente, per colmare i divari territoriali nei diritti di cittadinanza e riequilibrare il potenziale di crescita tra Nord e Sud del Paese.

29 Novembre 2022
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Covid, Ucraina, crisi energetica e inflazione impattano su famiglie e imprese e riaprono la forbice con il Nord


Oltre 760.000 potenziali nuovi poveri per lo shock energetico, di cui mezzo milione al Sud. È lo scenario delineato nel Rapporto Svimez 2022, giunto alla sua 49esima edizione, presentato oggi, lunedì 28 novembre, alla Camera.

Uno scenario che delinea una recessione nel 2023, ma solo per il Sud d’Italia. Addio dunque a un processo di ripresa economica che abbracci tutto il territorio nazionale. Il prossimo anno il Pil meridionale si contrarrebbe fino a -0,4%, mentre quello del Centro-Nord, pur rimanendo positivo a +0,8%, segnerebbe un forte rallentamento rispetto al 2022. Il dato medio italiano dovrebbe attestarsi invece intorno al +0,5%.

 Il «rimbalzo» del 2021 (trainato dal binomio investimenti in costruzioni e export), ha interessato tutte le aree del Paese ma è stato più rapido nel Nord, rispetto a Centro e Sud. A differenza delle passate crisi, il Mezzogiorno ha partecipato alla ripartenza con il contributo delle misure di sostegno ai redditi delle famiglie, che hanno favorito la ripresa dei consumi, e dell’intonazione espansiva della politica di bilancio.

Nel complesso, lo scenario è quello di un Paese, l’Italia, in stagnazione.Occorre rimettere in gioco il Mezzogiorno, è il messaggio lanciato dall’indagine, ricomporre la (non nuova) frattura tra Nord e Sud del Paese così da esprimere il potenziale dell’Italia in Europa. E il Pnrr potrebbe essere “l’ultimo treno”.

Il 2024 dovrebbe essere un anno di ripresa sulla scia del generale miglioramento della congiuntura internazionale, unitamente alla continuazione del rientro dall’inflazione che scende al +2,5% e +3,2% nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno nell’anno. Si stima che il Pil aumenti nel 2024 dell’1,5% a livello nazionale, per effetto del +1,7% nel Centro-Nord e dello +0,9% al Sud.

La desertificazione universitaria. Un altro elemento che emerge dall’indagine riguarda l’ambito della formazione, e in particolare l’università. Secondo Svimez, infatti, nel 2041 il Mezzogiorno perderà il 27% degli iscritti, il Centro Nord circa il 20%. È dunque in atto la desertificazione universitaria del Sud, specialmente nelle sedi più piccole e periferiche. Negli ultimi vent’anni circa 1,2 milioni di giovani ha lasciato il Mezzogiorno. Uno su 4 è laureato. Nel solo 2020 sono 67mila giovani che sono andati via e la quota di laureati è salita al 40%.Nel periodo 2002-2020, la perdita netta di giovani è stata di 770mila unità, quella di laureati di circa 250 mila unità. Per il solo 2020, il saldo netto complessivo è di circa 45 mila ragazzi. Di cui 20mila laureati. 

Industria del Sud più esposta alla corsa dei prezzi di elettricità e gas. L’aumento dei prezzi di energia elettrica e gas si tradurrebbe, per le imprese industriali, in un aumento in bolletta annuale di 42,9 miliardi di euro. Di questi, il 20 % circa (8,2 miliardi) grava sul Mezzogiorno, il cui contributo al valore aggiunto dell’industria nazionale è inferiore al 10%. L’impennata inflazionistica implica un’erosione dei margini di redditività particolarmente allarmante e rischi operativi più concreti per le imprese del Sud.

Gli interventi nel pieno della pandemia Covid hanno tamponato emergenza. Secondo la fotografia scattata da Svimez, gli interventi di salvaguardia varati nel pieno della pandemia, dal blocco dei licenziamenti, agli ammortizzatori sociali in deroga fino al Rem che si è andato ad aggiungere al Reddito di cittadinanza, hanno tamponato emergenze sociali e occupazionali che altrimenti avrebbero assunto proporzioni drammatiche. Al netto del peggioramento delle condizioni rilevate nel corso del 2020 – rileva ancora Svimez -, l’insieme di queste misure ha avuto effetti significativi nel contrastare la povertà. Nel 2020, dunque, i «corposi trasferimenti governativi» hanno preservato le condizioni economiche delle famiglie, limitando fortemente la contrazione dei redditi. Senza questi interventi le famiglie povere sarebbero state quasi 2,5 milioni, quasi 450 mila in più rispetto al valore registrato nel 2020 (poco più di 2 milioni), cui corrispondono oltre un milione di persone in meno in condizione di povertà assoluta (-750 mila al Sud e -260 mila al Centro-Nord). Senza le erogazioni le famiglie in povertà assoluta sarebbero state il 9,4% anziché il 7,7%, l’incidenza per le persone sarebbe aumentata all’11,1% anziché fermarsi al 9,4%. In particolare, nelle regioni meridionali, senza sussidi l’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie avrebbe raggiunto un picco drammatico di circa 13 famiglie ogni 100 (13,2% al Sud e 12,9% nelle Isole), che grazie agli interventi cala di 3,4 punti al Sud e 4,5 punti nelle Isole.

L’inflazione colpisce le famiglie meno abbienti, concentrate nel Meridione. Svimez pone l’accento sul fatto che la crisi inflazionistica presenta rischi concreti per la sostenibilità dei bilanci di famiglie e imprese, con effetti più allarmanti nel Mezzogiorno. Con riferimento alle famiglie, a subire maggiormente le conseguenze dei rincari della bolletta energetica e dei beni di prima necessità sono i nuclei a reddito più basso, per i quali l’incidenza dei costi “incomprimibili” arriva a coprire circa il 70% dei consumi totali. Queste famiglie sono maggiormente concentrate nel Sud Italia. In base ai dati Istat 2021, infatti, una famiglia su tre residente nel Mezzogiorno si colloca nel primo quintile di spesa equivalente (presenta una spesa media mensile minore o uguale alla spesa media del 20% più povero di tutte le famiglie italiane). Nelle altre aree del Paese, la percentuale è nettamente inferiore: le famiglie collocate nel primo quintile di spesa sono circa il 13% nel Nord e poco più del 14% nel Centro. Considerando l’inflazione acquisita per l’anno in scorso dell’8% per tutte le voci di spesa (dato previsionale Istat riferito a ottobre 2022), si osserva un incremento dell’8,9% per i beni alimentari e del 34,9% per la voce “abitazione, acqua, elettricità e spesa per combustibili”.

La questione femminile. Il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno è molto lontano dalla media europea. In Italia il gap con l’Europa, di circa 10 punti all’inizio del secolo, è ulteriormente aumentato, avvicinandosi ai 15 punti nel 2022. Non solo, il ritardo dell’Italia, che nei primi anni Duemila era essenzialmente ascrivibile alle regioni meridionali, si è esteso alle regioni del Centro-Nord. Portando il confronto all’interno del Paese, è netto il divario tra i tassi d’occupazione femminile del Mezzogiorno e del Centro-Nord, che in termini di numero di occupati si quantifica in 1,6 milioni (nel senso che se il tasso di occupazione femminile fosse uguale a quello del Centro-Nord, nel Mezzogiorno l’occupazione femminile aumenterebbe di 1,6 milioni).In Italia sono circa 4 milioni, di cui circa 1,8 milioni nel Mezzogiorno, le donne più o meno vicine al mercato del lavoro ma che non vengono impiegate.

La necessità di un coordinamento delle politiche di sviluppo. Svimez pone l’accento sul fatto che con un’offerta ampia e diversificata di risorse per le politiche di sviluppo dei prossimi anni − comprendente quelle della coesione 2014-2020, incluso il React-Eu, le risorse del ciclo 2021-2027, le dotazioni Pnrr e, non ultime, quelle della coesione nazionale (PSC) − serve un coordinamento tra la politica di coesione, comunitaria e nazionale, e il Piano nazionale di ripresa e resilienza e la necessità che siano messe a sistema in una visione organica e unitaria le reciproche azioni. Gli stanziamenti di risorse, ingenti, e le riserve di spesa sono solo una condizione necessaria, non sufficiente, per colmare i divari territoriali nei diritti di cittadinanza e riequilibrare il potenziale di crescita tra Nord e Sud del Paese.