Immagine di copertina di: “Innovare il welfare in azienda per lavorare meglio”

Il Segretario generale, Francesco Cavallaro, al Festival del Lavoro di Bologna. Ecco l’intervento nel corso di un dibattito sul tema


Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una graduale affermazione del welfare aziendale, come strumento di supporto alle retribuzioni e di miglioramento della qualità del lavoro; con riguardo al primo aspetto, tuttavia, deve essere fatta una precisazione; nelle società più avanzate si sta rilevando un graduale fenomeno di progressivo arretramento del welfare primario, ovvero del welfare pubblico; si pensi alla affermazione, a solo titolo di esempio, delle polizze sanitarie private e alla previdenza complementare. Vi è certamente una crisi dello stato sociale, tuttavia, tutti gli attori sociali (legislatore, imprese e sindacati) non possono perdere di vista che vi è una linea di confine che non può essere oltrepassata: il welfare aziendale deve mantenere sempre un carattere di complementarietà e sussidiarietà rispetto al welfare pubblico.

L’affermazione del welfare aziendale, in altre parole, non può diventare (magari anche inconsapevolmente) strumento che metta in discussione i fondamenti dello stato sociale; per la CISAL la previdenza pubblica e la sanità pubblica continuano ad essere valori primari da salvaguardare.

Welfare contrattuale e welfare unilaterale. Come è noto il welfare può scaturire da iniziative unilaterali del datore di lavoro oppure da accordi di natura sindacale; storicamente le forme originarie di welfare sono state di natura unilaterale, non a caso spesso associate ad una visione paternalistica dell’impresa; il welfare contrattuale, invece, è figlio dello sviluppo delle relazioni industriali. Nell’ordinamento italiano, dal 2016 al 2018 sono state introdotte, con le varie leggi di stabilità, le principali norme in materia di welfare contrattuale dal momento che quelle relative al Welfare unilaterale (legate alle erogazioni liberali del datore di lavoro di premi, beni e servizi) tendevano a non trovare una applicazione diffusa e uniforme, ma limitata a poche imprese; a partire dal 2022 invece si è notata una ripresa del welfare unilaterale con la normativa sui cd “fringe benefits” nel limite massimo di 3.000 euro)  che è stata parzialmente replicata anche per il 2023 (con la variante che prevede il limite massimo di 3.000 euro solo per i lavoratori con figli, mentre resta il limite di 258,23 euro per i lavoratori senza figli). Riguardo a questa ultima norma abbiamo già segnalato che il differenziale che si è venuto a creare è eccessivo: la CISAL infatti ha proposto di portare il limite massimo per coloro che non hanno figli da 258,23 a 1.000 euro. Ma più in generale, rispetto al tema dell’innovazione del welfare: la CISAL ritiene che si debba tendere ad una diffusione ampia e uniforme del welfare contrattuale, che ha caratteri di certezza e definizione certamente maggiori di quello unilaterale, la cui elargizione rimane sempre vincolata alla disponibilità (che ha carattere sempre di eventualità e mai di certezza) del datore di lavoro. Vi sarebbe tuttavia, una possibile linea di sviluppo anche per il welfare unilaterale da pensare in un’ottica pienamente sociale; pensiamo alla possibilità che vengano attuati interventi di ampia valenza sociale a supporto dei lavoratori o addirittura della collettività; l’idea è quella di premiare a livello fiscale Aziende che in modo singolo ma anche in gruppo, vogliano impegnarsi ad esempio nella costruzione o nel recupero o nella riqualificazione di strutture di utilità sociale (asili, scuole, palestre, centri sportivi); sarebbe una forma inedita di Welfare, non legata alla logica delle sponsorizzazioni, molto utile in un momento dove i Comuni, soprattutto quelli di dimensioni contenute, faticano a trovare risorse in tal senso; si tratta di una prospettiva inedita che andrebbe, a nostro giudizio, indagata, approfondita e portata all’attenzione del legislatore

Sviluppare e potenziare il ruolo degli Enti bilaterali quali soggetti erogatori di Welfare Aziendale. Nella diffusione del welfare aziendale possono giocare un ruolo fondamentale gli Enti Bilaterali che, potenzialmente, sono in grado, con i loro servizi, di coprire tutte le aree di intervento del welfare in senso stretto. A giudizio della CISAL, una delle prime linee di intervento deve essere tesa a rafforzare la legislazione fiscale di maggior favore per le risorse gestite dagli Enti Bilaterali; questi ultimi, proprio per la loro natura, conciliano perfettamente la loro funzione con le logiche del welfare, e riteniamo che, oltre alle funzioni per cosi dire tradizionali che essi svolgono che spaziano, come sappiamo, dalla formazione all’assistenza sanitaria. Gli Enti bilaterali hanno oltretutto il vantaggio di garantire che la gestione delle risorse avvenga sotto la guida congiunta delle aziende e dei lavoratori.

La CISAL guarda con molta attenzione alla Delega Fiscale che è attualmente all’esame del Parlamento, nell’ambito della quale, in accordo ad un indirizzo da noi condiviso, si prevede la possibilità di sviluppare la normativa fiscale di maggior favore riservata agli Enti Bilaterali: al riguardo la nostra proposta è di andare verso un sistema che sviluppi l’interazione tra Enti Bilaterali e Welfare Aziendale. Il Welfare deve diventare strumento precipuo degli Enti bilaterali; servono norme che accordino vantaggi dal punto di vista fiscale e contributivo a tutte le risorse devolute, anche attraverso la contrattazione sindacale, agli Enti bilaterali, secondo modalità univoche e semplificate; saranno poi tali Enti, quale camera di compensazione tra le esigenze delle imprese e dei lavoratori, ad adottare le iniziative di welfare ritenute più idonee.

Semplificazione delle norme sul Welfare Aziendale. La nostra legislazione sul Welfare Aziendale si è formata per sedimentazione: negli anni sono state introdotte varie norme, tutte generalmente tese a modificare l’art. 51 del TUIR; le stesse tuttavia si sono sviluppate in modo abbastanza disomogeneo: abbiamo norme sulla defiscalizzazione e sulla decontribuzione; abbiamo norme che accordano benefici molto diversi a seconda delle varie fattispecie a cui si riferiscono, vi sono voci che non concorrono alla formazione del reddito, (es. utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale); voci a cui si applicano aliquote sostitutive delle ordinarie aliquote per le imposte dirette (si pensi ai premi legati alla redditività delle imprese); vi sono voci a cui il beneficio è applicato solo in presenza di casistiche forse troppo specifiche e trattamenti che cambiano nel caso di conversione dei premi di produttività in beni, servisi o in previdenza complementare, allorchè l’aliquota sostitutiva (che è stata sempre del 10% e transitoriamente per quest’anno portata al 5%) viene abbattuta completamente.

Al riguardo serve una razionalizzazione della materia, che dovrebbe ricevere una sistemazione più organica che ne renda, soprattutto, più facile l’applicazione, semplificando le voci di welfare e uniformando i trattamenti fiscali e contribuitivi di maggior favore

Si è osservato oltretutto che la scarsa conoscenza del fenomeno ma soprattutto la complessità che le Aziende obiettivamente incontrano per la sua gestione rappresentano un freno significativo alla diffusione di questo istituto, soprattutto tra le imprese medio piccole.

La CISAL ritiene pertanto che si debbano perseguire due linee di azione:

1. puntare alla informazione, alla formazione e alla sensibilizzazione di imprese e lavoratori in tema di welfare aziendale; 

2. Snellire e rendere più semplici le procedure di attuazione delle varie forme di welfare e soprattutto di accesso agli incentivi fiscali e contributivi.

Un nuovo modello contrattuale per la diffusione del welfare aziendale. La CISAL è impegnata verso una sempre maggiore affermazione del Welfare aziendale, convinta che si possano conciliare esigenze di parte datoriale, attraverso una sorta di ottimizzazione di quella che possiamo definire l’“efficienza fiscale dell’azienda”, con il contemporaneo incremento di misure che vanno incontro al benessere del lavoratore. 

E’ necessario, al fine di addivenire ad una definitiva affermazione del welfare aziendale, sviluppare una riflessione politica e sindacale sui limiti e le condizioni che il quadro normativo ma anche la realtà sociale impongono agli istituti di welfare aziendale. 

Alcune recenti indagini mostrano come la diffusione di piani di welfare aziendale sia un fenomeno che, sebbene in crescita, presenti una diffusione limitata e caratterizzata da profonde limitazioni territoriali, dimensionali, e settoriali; in particolare tra il 2016 e il primo semestre 2020 risultano presentati oltre 50.000 piani di W.A. nell’ambito di contratti aziendali e territoriali; le imprese interessate a piani fiscali legati alla produttività, tuttavia, sono quelle di maggiori dimensioni e concentrate prevalentemente al Nord.

In particolare la classe dimensionale delle aziende gioca un ruolo decisivo quando si tratta di convertire il premio di produttività (tassato al 10% e transitoriamente per l’anno in corso al 5%) in welfare (beni o servizio o più spesso previdenza complementare); inoltre: solo l’11,7% delle imprese con meno di 50 addetti prevedono misure di welfare; percentuale che passa al 26,5% nel caso delle imprese con almeno 250 dipendenti.

Il nostro obiettivo dunque deve essere quello di trovare gli strumenti per una ampia applicazione del W.A. anche alle impese medio piccole (PMI) e per una diffusione omogenea in tutte le aree del Paese, superando le differenze che oggi penalizzano soprattutto i lavoratori del centro-meridione evitando che il welfare aziendale possa diventare, in modo paradossale, addirittura fattore di disparità tra lavoratori!

Il supporto delle norme fiscali e contributive agli istituti di Welfare deve essere fornito, come già accennato non solo in relazione alla contrattazione di primo livello ma anche e soprattutto in quella di secondo livello.

Stiamo vivendo un momento particolarmente delicato in cui è sempre più difficile tutelare le retribuzioni anche per gli alti tassi di inflazione; nell’ambito di una politica di revisione del modello contrattuale il Welfare può aiutare moltissimo e dobbiamo tendere ad una sua maggiore diffusione, attraverso la standardizzazione delle prestazioni di welfare, che vanno rese comuni ai diversi settori produttivi e a tutti i territori per dare a questo strumento una applicazione universale.

Serve in tal senso una vera e propria alleanza tra Governo, legislatore e parti sociali: la nostra proposta è quella di costruire un modello di welfare aziendale di carattere generale nell’ambito di un vero e proprio tavolo di concertazione governativo con le parti sociali, al fine di arrivare alla emanazione di un piccolo Testo Unico del Welfare Aziendale che possa costituire una base normativa semplice ed efficace da attuare attraverso la contrattazione collettiva di primo e secondo livello.

In questo quadro si dovranno:

1. innalzare i limiti ai tetti di spesa oggi previsti per le varie forme di welfare

2. uniformare i trattamenti fiscali o contributivi agevolati 

Pensiamo, tra l’altro, ad un modello che risalga alle radici del fenomeno, che recuperi forme salde di socialità, capaci di legare impresa, lavoro e territorio in modo nuovo, superando il mero aspetto della redditività economica come unico fattore di misurazione del valore sociale dell’impresa, concepita nel suo ruolo sociale di propulsione del benessere collettivo prima ancora che di quello individuale dell’imprenditore. 

Modalità applicative avanzate del welfare aziendale di cui promuovere la diffusione su larga scala. La contrattazione sindacale ha già sperimentato un’ampia diversificazione dell’offerta di welfare aziendale, dimostrando di saper cogliere appieno le potenzialità offerte dalle norme; sempre più spesso, infatti, i contratti collettivi non si limitano alla previsione delle forme classiche di assistenza ai lavoratori per spese di carattere sanitario o incentivo della previdenza integrativa, ma si spingono su nuovi percorsi; soprattutto i contratti aziendali, infatti, prevedono forme di supporto per i lavoratori e per le loro famiglie in relazione a spese che investono il livello sociale.

In tal senso la casistica è veramente variegata: rette di asilo nido o di scuola materna, libri scolastici, buoni spesa per attività  sportive, polizze sanitarie, agevolazioni per mutui o prestiti; buoni benzina, buoni pasto, buoni per il trasporto, corsi culturali (lingue, informatici, formativi in genere); la cosa pure interessante è che tali benefici sono previsti non solo in chiave personale per il lavoratore, ma sono estesi a tutti i componenti del nucleo familiare e ai figli in particolare.

In alcuni casi, infine, si è osservata una interessante evoluzione del fenomeno, legata alla connessione del welfare aziendale con il territorio laddove la contrattazione integrativa individua una rete di esercizi commerciali, artigianali e professionali, collocata in prossimità con l’Azienda e preventivamente convenzionati con la medesima, ove i dipendenti e i loro famigliari possano utilizzare il benefit aziendale, e questo per tutti i settori: sport, benessere, cultura e tempo libero e visite mediche, con possibilità di prenotazione delle prestazioni anche a distanza in via telematica.

Ulteriori novità, introdotte da alcuni contratti nelle forme più avanzate di welfare aziendale, prevedono anche la creazione di laboratori e sportelli informativi per le famiglie in cui si svolgono campagne per la sensibilizzazione verso una corretta educazione alimentare o, in relazione ai servizi alla persona, la possibilità di fruire di campagne di vaccinazione contro l’influenza, accordate ai dipendenti gratuitamente tramite una rete di medici convenzionati. Come già detto si tratta di modelli molto avanzati ma sperimentati solo in misura limitata, specialmente da alcune grandi imprese del nord; l’obiettivo che dobbiamo darci è quello di promuoverne la massima diffusione possibile.

Welfare e previdenza complementare. Un approfondimento merita la valutazione del welfare aziendale connesso con il potenziamento delle forme di previdenza integrativa. Il punto è di particolare attualità se consideriamo gli effetti che, da qui a pochi anni, l’introduzione del sistema di calcolo contributivo produrrà sulle pensioni, i cui importi sono destinati ad abbassarsi; si tratta di una questione che, come sindacato, ci preoccupa in modo particolare; il welfare aziendale si attua anche attraverso la previdenza complementare con trattamenti fiscali che in genere sono più favorevoli rispetto ai premi di produttività 

Al riguardo sarebbe opportuno avviare una riflessione generale sullo stato della previdenza integrativa riconducibile al cosi detto secondo pilastro; la CISAL, a tal proposito, ritiene che la attuale frammentazione in fondi pensionistici categoriali, in realtà, si traduca, nel lungo periodo in un elemento frenante per i fondi stessi; sarebbe interessante pertanto porre un tema certamente complesso quanto ambizioso, quale quello di costruire una previdenza complementare imperniata su un unico fondo intercategoriale, con i tutti i vantaggi che potrebbero derivarne in materia di ottimizzazione dei costi e della capacità finanziaria. 

Welfare e riforma fiscale. Va ricordato che è attualmente in discussione in parlamento il disegno di legge delega di riforma fiscale (AC 1038). La CISAL è assolutamente d’accordo con gli obiettivi di fondo della Riforma, che però dovrà essere declinata con attenzione e senza stortura per l’attuazione di una vera equità fiscale.

Riguardo al nostro tema di indagine essa rappresenta l’occasione migliore per attuare gli interventi utili al rafforzamento del Welfare aziendale già indicati e che riassumiamo brevemente:

  1. Semplificare le norme per l’attuazione del WA
  2. Uniformare i trattamenti fiscali e contributivi agevolati riservati al WA
  3. Ampliare le fattispecie riconducibili al WA
  4. Innalzare i limiti di spesa per le varie voci di WA sia esso contrattuale o unilaterale
  5. Concedere trattamenti fiscali agevolati alle somme gestite dagli Enti Bilaterali per attività di WA e più in generale attuare una legislazione che favorisca la gestione del WA da parte degli stessi.

In materia di Riforma fiscale, prendiamo atto che proprio di recente il Governo ha confermato la volontà di introdurre una imposizione sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali su tredicesime, straordinari e premi di produttività; in sostanza si dovrebbe andare, ad esempio, verso un alleggerimento del carico fiscale su tutto il salario accessorio e sulle tredicesime, questo rende a maggior ragione necessario agevolare ulteriormente tutta la materia del Welfare aziendale.

E’ sempre più urgente, infine, la necessità di potenziare il welfare aziendale anche nel pubblico impiego, dal momento che in quell’ambito esso è sostanzialmente confinato ai soli buoni pasto.

Welfare organizzativo e smart working. Il lavoro agile è l’esempio più evidente di quello che viene classificato welfare aziendale organizzativo; la nostra posizione al riguardo è ben nota: siamo a favore di un’ampia diffusione di questa modalità; riteniamo tuttavia. Le norme che oggi disciplinano il lavoro agile (legge n. 81 del 2017) lo classificano essensialmente come istituto di flessibilità per la conciliazione dei tempi di vita lavoro. Tuttavia, proprio l’esperienza derivante dall’applicazione massiva a seguito della pandemia ha messo in luce come il Lavoro Agile può avere effetti benefici in termini di sostenibilità sociale, per la riduzione del traffico da pendolarismo, delle remissioni inquinanti, con risparmi dei costi per l’energia; il tutto senza tralasciare il recupero salariale indiretto che esso consente soprattutto per i pendolari, per la riduzione dei costi per il trasporto. Sono innegabili, altresì, i vantaggi che i datori di lavoro possono ottenere da questo strumento (si pensi alla possibilità di svolgere riunioni a distanza o in collegamento multiplo, al rafforzamento delle reti aziendali ecc. all’implementazione tecnologico/digitale). In tale ottica appare riduttivo considerare il lavoro agile solo come strumento pensato per la tutela individuale del singolo lavoratore; al contrario ponendolo a fondamento della riorganizzazione delle aziende, esso può diventare una leva per la riduzione di costi sociali inutili (si pensi alla mobilità dei pendolari), se non deleteri a livello ambientale e di recupero di spazi e di efficienza e produttività per le Imprese o gli Enti Pubblici.

E’ opportuno, alla luce di ciò, chiedersi se non sia il caso di intervenire, a livello legislativo, non con una normativa che vada a sovrapporsi alla contrattazione sindacale sulle materie già oggetto dei vari contratti, bensì con leggi che vadano a dare sostegno e supporto “esterni”, magari con incentivi e agevolazioni, allo sviluppo e alla diffusione del L.A., proprio per favorirlo quale strumento di miglioramento della sostenibilità sociale e dello sviluppo digitale.

In questa ipotesi, si tratterebbe di approntare una legislazione di taglio completamente diverso da quella impostata con la legge n. 81 del 2017, da calibrare come strumento di programmazione dello sviluppo dei territori, delle reti di connessione, che dovrebbe vedere come protagonista soprattutto il sistema delle Autonomie, laddove interessato a favorire l’insediamento o la redistribuzione di popolazione nei propri territori grazie alla possibilità di svolgere LA.

Una simile politica, di sostegno alle aziende e ai territori disposti ad investire sul Lavoro Agile, fondata sul presupposto di concepirlo anche e soprattutto come elemento strutturale delle organizzazioni aziendali e non solo come istituto legato sostanzialmente alla conciliazione dei tempi di vita lavoro, potrebbe o dovrebbe vedere come protagonista anche la legislazione regionale; si tratta, per le Regioni, probabilmente, di cogliere un’occasione.

Immagine di copertina di: “Innovare il welfare in azienda per lavorare meglio”

Il Segretario generale, Francesco Cavallaro, al Festival del Lavoro di Bologna. Ecco l’intervento nel corso di un dibattito sul tema


Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una graduale affermazione del welfare aziendale, come strumento di supporto alle retribuzioni e di miglioramento della qualità del lavoro; con riguardo al primo aspetto, tuttavia, deve essere fatta una precisazione; nelle società più avanzate si sta rilevando un graduale fenomeno di progressivo arretramento del welfare primario, ovvero del welfare pubblico; si pensi alla affermazione, a solo titolo di esempio, delle polizze sanitarie private e alla previdenza complementare. Vi è certamente una crisi dello stato sociale, tuttavia, tutti gli attori sociali (legislatore, imprese e sindacati) non possono perdere di vista che vi è una linea di confine che non può essere oltrepassata: il welfare aziendale deve mantenere sempre un carattere di complementarietà e sussidiarietà rispetto al welfare pubblico.

L’affermazione del welfare aziendale, in altre parole, non può diventare (magari anche inconsapevolmente) strumento che metta in discussione i fondamenti dello stato sociale; per la CISAL la previdenza pubblica e la sanità pubblica continuano ad essere valori primari da salvaguardare.

Welfare contrattuale e welfare unilaterale. Come è noto il welfare può scaturire da iniziative unilaterali del datore di lavoro oppure da accordi di natura sindacale; storicamente le forme originarie di welfare sono state di natura unilaterale, non a caso spesso associate ad una visione paternalistica dell’impresa; il welfare contrattuale, invece, è figlio dello sviluppo delle relazioni industriali. Nell’ordinamento italiano, dal 2016 al 2018 sono state introdotte, con le varie leggi di stabilità, le principali norme in materia di welfare contrattuale dal momento che quelle relative al Welfare unilaterale (legate alle erogazioni liberali del datore di lavoro di premi, beni e servizi) tendevano a non trovare una applicazione diffusa e uniforme, ma limitata a poche imprese; a partire dal 2022 invece si è notata una ripresa del welfare unilaterale con la normativa sui cd “fringe benefits” nel limite massimo di 3.000 euro)  che è stata parzialmente replicata anche per il 2023 (con la variante che prevede il limite massimo di 3.000 euro solo per i lavoratori con figli, mentre resta il limite di 258,23 euro per i lavoratori senza figli). Riguardo a questa ultima norma abbiamo già segnalato che il differenziale che si è venuto a creare è eccessivo: la CISAL infatti ha proposto di portare il limite massimo per coloro che non hanno figli da 258,23 a 1.000 euro. Ma più in generale, rispetto al tema dell’innovazione del welfare: la CISAL ritiene che si debba tendere ad una diffusione ampia e uniforme del welfare contrattuale, che ha caratteri di certezza e definizione certamente maggiori di quello unilaterale, la cui elargizione rimane sempre vincolata alla disponibilità (che ha carattere sempre di eventualità e mai di certezza) del datore di lavoro. Vi sarebbe tuttavia, una possibile linea di sviluppo anche per il welfare unilaterale da pensare in un’ottica pienamente sociale; pensiamo alla possibilità che vengano attuati interventi di ampia valenza sociale a supporto dei lavoratori o addirittura della collettività; l’idea è quella di premiare a livello fiscale Aziende che in modo singolo ma anche in gruppo, vogliano impegnarsi ad esempio nella costruzione o nel recupero o nella riqualificazione di strutture di utilità sociale (asili, scuole, palestre, centri sportivi); sarebbe una forma inedita di Welfare, non legata alla logica delle sponsorizzazioni, molto utile in un momento dove i Comuni, soprattutto quelli di dimensioni contenute, faticano a trovare risorse in tal senso; si tratta di una prospettiva inedita che andrebbe, a nostro giudizio, indagata, approfondita e portata all’attenzione del legislatore

Sviluppare e potenziare il ruolo degli Enti bilaterali quali soggetti erogatori di Welfare Aziendale. Nella diffusione del welfare aziendale possono giocare un ruolo fondamentale gli Enti Bilaterali che, potenzialmente, sono in grado, con i loro servizi, di coprire tutte le aree di intervento del welfare in senso stretto. A giudizio della CISAL, una delle prime linee di intervento deve essere tesa a rafforzare la legislazione fiscale di maggior favore per le risorse gestite dagli Enti Bilaterali; questi ultimi, proprio per la loro natura, conciliano perfettamente la loro funzione con le logiche del welfare, e riteniamo che, oltre alle funzioni per cosi dire tradizionali che essi svolgono che spaziano, come sappiamo, dalla formazione all’assistenza sanitaria. Gli Enti bilaterali hanno oltretutto il vantaggio di garantire che la gestione delle risorse avvenga sotto la guida congiunta delle aziende e dei lavoratori.

La CISAL guarda con molta attenzione alla Delega Fiscale che è attualmente all’esame del Parlamento, nell’ambito della quale, in accordo ad un indirizzo da noi condiviso, si prevede la possibilità di sviluppare la normativa fiscale di maggior favore riservata agli Enti Bilaterali: al riguardo la nostra proposta è di andare verso un sistema che sviluppi l’interazione tra Enti Bilaterali e Welfare Aziendale. Il Welfare deve diventare strumento precipuo degli Enti bilaterali; servono norme che accordino vantaggi dal punto di vista fiscale e contributivo a tutte le risorse devolute, anche attraverso la contrattazione sindacale, agli Enti bilaterali, secondo modalità univoche e semplificate; saranno poi tali Enti, quale camera di compensazione tra le esigenze delle imprese e dei lavoratori, ad adottare le iniziative di welfare ritenute più idonee.

Semplificazione delle norme sul Welfare Aziendale. La nostra legislazione sul Welfare Aziendale si è formata per sedimentazione: negli anni sono state introdotte varie norme, tutte generalmente tese a modificare l’art. 51 del TUIR; le stesse tuttavia si sono sviluppate in modo abbastanza disomogeneo: abbiamo norme sulla defiscalizzazione e sulla decontribuzione; abbiamo norme che accordano benefici molto diversi a seconda delle varie fattispecie a cui si riferiscono, vi sono voci che non concorrono alla formazione del reddito, (es. utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale); voci a cui si applicano aliquote sostitutive delle ordinarie aliquote per le imposte dirette (si pensi ai premi legati alla redditività delle imprese); vi sono voci a cui il beneficio è applicato solo in presenza di casistiche forse troppo specifiche e trattamenti che cambiano nel caso di conversione dei premi di produttività in beni, servisi o in previdenza complementare, allorchè l’aliquota sostitutiva (che è stata sempre del 10% e transitoriamente per quest’anno portata al 5%) viene abbattuta completamente.

Al riguardo serve una razionalizzazione della materia, che dovrebbe ricevere una sistemazione più organica che ne renda, soprattutto, più facile l’applicazione, semplificando le voci di welfare e uniformando i trattamenti fiscali e contribuitivi di maggior favore

Si è osservato oltretutto che la scarsa conoscenza del fenomeno ma soprattutto la complessità che le Aziende obiettivamente incontrano per la sua gestione rappresentano un freno significativo alla diffusione di questo istituto, soprattutto tra le imprese medio piccole.

La CISAL ritiene pertanto che si debbano perseguire due linee di azione:

1. puntare alla informazione, alla formazione e alla sensibilizzazione di imprese e lavoratori in tema di welfare aziendale; 

2. Snellire e rendere più semplici le procedure di attuazione delle varie forme di welfare e soprattutto di accesso agli incentivi fiscali e contributivi.

Un nuovo modello contrattuale per la diffusione del welfare aziendale. La CISAL è impegnata verso una sempre maggiore affermazione del Welfare aziendale, convinta che si possano conciliare esigenze di parte datoriale, attraverso una sorta di ottimizzazione di quella che possiamo definire l’“efficienza fiscale dell’azienda”, con il contemporaneo incremento di misure che vanno incontro al benessere del lavoratore. 

E’ necessario, al fine di addivenire ad una definitiva affermazione del welfare aziendale, sviluppare una riflessione politica e sindacale sui limiti e le condizioni che il quadro normativo ma anche la realtà sociale impongono agli istituti di welfare aziendale. 

Alcune recenti indagini mostrano come la diffusione di piani di welfare aziendale sia un fenomeno che, sebbene in crescita, presenti una diffusione limitata e caratterizzata da profonde limitazioni territoriali, dimensionali, e settoriali; in particolare tra il 2016 e il primo semestre 2020 risultano presentati oltre 50.000 piani di W.A. nell’ambito di contratti aziendali e territoriali; le imprese interessate a piani fiscali legati alla produttività, tuttavia, sono quelle di maggiori dimensioni e concentrate prevalentemente al Nord.

In particolare la classe dimensionale delle aziende gioca un ruolo decisivo quando si tratta di convertire il premio di produttività (tassato al 10% e transitoriamente per l’anno in corso al 5%) in welfare (beni o servizio o più spesso previdenza complementare); inoltre: solo l’11,7% delle imprese con meno di 50 addetti prevedono misure di welfare; percentuale che passa al 26,5% nel caso delle imprese con almeno 250 dipendenti.

Il nostro obiettivo dunque deve essere quello di trovare gli strumenti per una ampia applicazione del W.A. anche alle impese medio piccole (PMI) e per una diffusione omogenea in tutte le aree del Paese, superando le differenze che oggi penalizzano soprattutto i lavoratori del centro-meridione evitando che il welfare aziendale possa diventare, in modo paradossale, addirittura fattore di disparità tra lavoratori!

Il supporto delle norme fiscali e contributive agli istituti di Welfare deve essere fornito, come già accennato non solo in relazione alla contrattazione di primo livello ma anche e soprattutto in quella di secondo livello.

Stiamo vivendo un momento particolarmente delicato in cui è sempre più difficile tutelare le retribuzioni anche per gli alti tassi di inflazione; nell’ambito di una politica di revisione del modello contrattuale il Welfare può aiutare moltissimo e dobbiamo tendere ad una sua maggiore diffusione, attraverso la standardizzazione delle prestazioni di welfare, che vanno rese comuni ai diversi settori produttivi e a tutti i territori per dare a questo strumento una applicazione universale.

Serve in tal senso una vera e propria alleanza tra Governo, legislatore e parti sociali: la nostra proposta è quella di costruire un modello di welfare aziendale di carattere generale nell’ambito di un vero e proprio tavolo di concertazione governativo con le parti sociali, al fine di arrivare alla emanazione di un piccolo Testo Unico del Welfare Aziendale che possa costituire una base normativa semplice ed efficace da attuare attraverso la contrattazione collettiva di primo e secondo livello.

In questo quadro si dovranno:

1. innalzare i limiti ai tetti di spesa oggi previsti per le varie forme di welfare

2. uniformare i trattamenti fiscali o contributivi agevolati 

Pensiamo, tra l’altro, ad un modello che risalga alle radici del fenomeno, che recuperi forme salde di socialità, capaci di legare impresa, lavoro e territorio in modo nuovo, superando il mero aspetto della redditività economica come unico fattore di misurazione del valore sociale dell’impresa, concepita nel suo ruolo sociale di propulsione del benessere collettivo prima ancora che di quello individuale dell’imprenditore. 

Modalità applicative avanzate del welfare aziendale di cui promuovere la diffusione su larga scala. La contrattazione sindacale ha già sperimentato un’ampia diversificazione dell’offerta di welfare aziendale, dimostrando di saper cogliere appieno le potenzialità offerte dalle norme; sempre più spesso, infatti, i contratti collettivi non si limitano alla previsione delle forme classiche di assistenza ai lavoratori per spese di carattere sanitario o incentivo della previdenza integrativa, ma si spingono su nuovi percorsi; soprattutto i contratti aziendali, infatti, prevedono forme di supporto per i lavoratori e per le loro famiglie in relazione a spese che investono il livello sociale.

In tal senso la casistica è veramente variegata: rette di asilo nido o di scuola materna, libri scolastici, buoni spesa per attività  sportive, polizze sanitarie, agevolazioni per mutui o prestiti; buoni benzina, buoni pasto, buoni per il trasporto, corsi culturali (lingue, informatici, formativi in genere); la cosa pure interessante è che tali benefici sono previsti non solo in chiave personale per il lavoratore, ma sono estesi a tutti i componenti del nucleo familiare e ai figli in particolare.

In alcuni casi, infine, si è osservata una interessante evoluzione del fenomeno, legata alla connessione del welfare aziendale con il territorio laddove la contrattazione integrativa individua una rete di esercizi commerciali, artigianali e professionali, collocata in prossimità con l’Azienda e preventivamente convenzionati con la medesima, ove i dipendenti e i loro famigliari possano utilizzare il benefit aziendale, e questo per tutti i settori: sport, benessere, cultura e tempo libero e visite mediche, con possibilità di prenotazione delle prestazioni anche a distanza in via telematica.

Ulteriori novità, introdotte da alcuni contratti nelle forme più avanzate di welfare aziendale, prevedono anche la creazione di laboratori e sportelli informativi per le famiglie in cui si svolgono campagne per la sensibilizzazione verso una corretta educazione alimentare o, in relazione ai servizi alla persona, la possibilità di fruire di campagne di vaccinazione contro l’influenza, accordate ai dipendenti gratuitamente tramite una rete di medici convenzionati. Come già detto si tratta di modelli molto avanzati ma sperimentati solo in misura limitata, specialmente da alcune grandi imprese del nord; l’obiettivo che dobbiamo darci è quello di promuoverne la massima diffusione possibile.

Welfare e previdenza complementare. Un approfondimento merita la valutazione del welfare aziendale connesso con il potenziamento delle forme di previdenza integrativa. Il punto è di particolare attualità se consideriamo gli effetti che, da qui a pochi anni, l’introduzione del sistema di calcolo contributivo produrrà sulle pensioni, i cui importi sono destinati ad abbassarsi; si tratta di una questione che, come sindacato, ci preoccupa in modo particolare; il welfare aziendale si attua anche attraverso la previdenza complementare con trattamenti fiscali che in genere sono più favorevoli rispetto ai premi di produttività 

Al riguardo sarebbe opportuno avviare una riflessione generale sullo stato della previdenza integrativa riconducibile al cosi detto secondo pilastro; la CISAL, a tal proposito, ritiene che la attuale frammentazione in fondi pensionistici categoriali, in realtà, si traduca, nel lungo periodo in un elemento frenante per i fondi stessi; sarebbe interessante pertanto porre un tema certamente complesso quanto ambizioso, quale quello di costruire una previdenza complementare imperniata su un unico fondo intercategoriale, con i tutti i vantaggi che potrebbero derivarne in materia di ottimizzazione dei costi e della capacità finanziaria. 

Welfare e riforma fiscale. Va ricordato che è attualmente in discussione in parlamento il disegno di legge delega di riforma fiscale (AC 1038). La CISAL è assolutamente d’accordo con gli obiettivi di fondo della Riforma, che però dovrà essere declinata con attenzione e senza stortura per l’attuazione di una vera equità fiscale.

Riguardo al nostro tema di indagine essa rappresenta l’occasione migliore per attuare gli interventi utili al rafforzamento del Welfare aziendale già indicati e che riassumiamo brevemente:

  1. Semplificare le norme per l’attuazione del WA
  2. Uniformare i trattamenti fiscali e contributivi agevolati riservati al WA
  3. Ampliare le fattispecie riconducibili al WA
  4. Innalzare i limiti di spesa per le varie voci di WA sia esso contrattuale o unilaterale
  5. Concedere trattamenti fiscali agevolati alle somme gestite dagli Enti Bilaterali per attività di WA e più in generale attuare una legislazione che favorisca la gestione del WA da parte degli stessi.

In materia di Riforma fiscale, prendiamo atto che proprio di recente il Governo ha confermato la volontà di introdurre una imposizione sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali su tredicesime, straordinari e premi di produttività; in sostanza si dovrebbe andare, ad esempio, verso un alleggerimento del carico fiscale su tutto il salario accessorio e sulle tredicesime, questo rende a maggior ragione necessario agevolare ulteriormente tutta la materia del Welfare aziendale.

E’ sempre più urgente, infine, la necessità di potenziare il welfare aziendale anche nel pubblico impiego, dal momento che in quell’ambito esso è sostanzialmente confinato ai soli buoni pasto.

Welfare organizzativo e smart working. Il lavoro agile è l’esempio più evidente di quello che viene classificato welfare aziendale organizzativo; la nostra posizione al riguardo è ben nota: siamo a favore di un’ampia diffusione di questa modalità; riteniamo tuttavia. Le norme che oggi disciplinano il lavoro agile (legge n. 81 del 2017) lo classificano essensialmente come istituto di flessibilità per la conciliazione dei tempi di vita lavoro. Tuttavia, proprio l’esperienza derivante dall’applicazione massiva a seguito della pandemia ha messo in luce come il Lavoro Agile può avere effetti benefici in termini di sostenibilità sociale, per la riduzione del traffico da pendolarismo, delle remissioni inquinanti, con risparmi dei costi per l’energia; il tutto senza tralasciare il recupero salariale indiretto che esso consente soprattutto per i pendolari, per la riduzione dei costi per il trasporto. Sono innegabili, altresì, i vantaggi che i datori di lavoro possono ottenere da questo strumento (si pensi alla possibilità di svolgere riunioni a distanza o in collegamento multiplo, al rafforzamento delle reti aziendali ecc. all’implementazione tecnologico/digitale). In tale ottica appare riduttivo considerare il lavoro agile solo come strumento pensato per la tutela individuale del singolo lavoratore; al contrario ponendolo a fondamento della riorganizzazione delle aziende, esso può diventare una leva per la riduzione di costi sociali inutili (si pensi alla mobilità dei pendolari), se non deleteri a livello ambientale e di recupero di spazi e di efficienza e produttività per le Imprese o gli Enti Pubblici.

E’ opportuno, alla luce di ciò, chiedersi se non sia il caso di intervenire, a livello legislativo, non con una normativa che vada a sovrapporsi alla contrattazione sindacale sulle materie già oggetto dei vari contratti, bensì con leggi che vadano a dare sostegno e supporto “esterni”, magari con incentivi e agevolazioni, allo sviluppo e alla diffusione del L.A., proprio per favorirlo quale strumento di miglioramento della sostenibilità sociale e dello sviluppo digitale.

In questa ipotesi, si tratterebbe di approntare una legislazione di taglio completamente diverso da quella impostata con la legge n. 81 del 2017, da calibrare come strumento di programmazione dello sviluppo dei territori, delle reti di connessione, che dovrebbe vedere come protagonista soprattutto il sistema delle Autonomie, laddove interessato a favorire l’insediamento o la redistribuzione di popolazione nei propri territori grazie alla possibilità di svolgere LA.

Una simile politica, di sostegno alle aziende e ai territori disposti ad investire sul Lavoro Agile, fondata sul presupposto di concepirlo anche e soprattutto come elemento strutturale delle organizzazioni aziendali e non solo come istituto legato sostanzialmente alla conciliazione dei tempi di vita lavoro, potrebbe o dovrebbe vedere come protagonista anche la legislazione regionale; si tratta, per le Regioni, probabilmente, di cogliere un’occasione.